La storia
La chiesa, forse il più interessante tra i luoghi di culto cittadini, rappresenta sicuramente la testimonianza storico-artistica più importante di Merano. Nonostante le modifiche subite nel corso dei secoli, è ancora possibile riconoscere le origini romaniche dell’edificio, di cui si sono conservate, oltre a parti del muro, tre piccole finestre, due nicchie d’altare e parti del campanile con il suo doppio ordine di bifore e trifore. L’impianto romanico sembra risalire ad un periodo compreso tra il XII e XIII secolo, quale modifica di una precedente costruzione, una chiesetta a pianta rettangolare risalente all’VIII secolo, molto simile a quelle che ancor oggi si trovano in Val Venosta. La chiesa era il luogo di culto dell’abitato rurale di Maia Bassa, che si estendeva a sud della città, e dipendeva dall’abbazia di Stams, a cui era stata donata nel 1273 da Mainardo II. Da allora la chiesa conobbe una serie di continui rifacimenti dovuti in gran parte alle inondazioni provocate dal rio Nova, che dall’omonima valle a est della città, scorreva poco distante dall’edificio.
L’elegante campanile romanico è rimasto originale con le sue eleganti bifore e trifore, mentre la cuspide barocca, aggiunta nel 1889, è stata a sua volta sostituita da in tetto a punta su pianta ottagonale.
[testo tratto da “Merano: guida alla città sconosciuta” Tangram Editore]
Gli affreschi
La decorazione affrescata dell’interno è assai complessa. L’arco trionfale, parzialmente manomesso verso il 1630, e parte delle pareti contigue sono decorate con il ciclo affrescato più antico, d’ispirazione orientale, scoperto nel 1967 e restaurato al momento della scoperta. Sul lato sinistro vi sono alcune scene della Storia della Vergine. Quella della Morte, una delle meglio conservate, con gli Apostoli e Santi dai volti gravi ed intensi, il Cristo che tiene tra le braccia l’anima della Madonna rappresentata come un bambino, è iconograficamente vicina ai mosaici della Martorana di Palermo (1143-1148), con i quali è da supporre un archetipo comune. Nel Compianto degli Apostoli al sepolcro di Maria è rappresentata una montagna assai simile a quella di Grissiano e un elaborato sfondo architettonico. In basso è dipinto un parapetto a finto marmo.
Sulla parete di fronte sono raffigurate alcune scene di difficile interpretazione. Se già vi si leggeva un’Apparizione di Cristo agli Apostoli dopo la morte, della Prova del cibo e dell’Invio degli stessi a diffondere la fede, studi più recenti vogliono riconoscervi un Concilio degli Apostoli, o i festeggiamenti relativi al conferimento alla Madonna del titolo di Theotokos al concilio di Efeso.


Il ciclo affrescato, in cui bisogna differenziare due diversi artisti, autori ognuno di una delle due pareti affrontate, dei quali il secondo sembra di inferiore capacità, non ha precedenti nella nostra regione ed ha come diretto confronto l’arte orientale cristiana provinciale più che l’ambiente veneziano bizantineggiante. E’ possibile che si tratti di un artista giunto dall’Oriente all’epoca delle Crociate; con la conquista di Costantinopoli degli infedeli, nel 1204, si assiste altresì ad una diffusione in occidente di motivi bizantini attraverso oggetti della cosiddetta arte minore, quali miniature, smalti. La datazione viene così fissata tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, se non addirittura alla metà di questo secolo per confronti con cicli orientali contemporanei.
Il ciclo gotico sulla facciata esterna sud fu eseguito presumibilmente nel 1372, forse dopo il restauro che seguì una delle disastrose inondazioni che devastarono la chiesa. E’ raffigurata una monumentale Crocifissione, i Santi Dorotea, Caterina, Sigismondo, Antonio Abate e Leonardo, San Michele che pesa le anime dei defunti e un Trionfo della Morte, ripreso dalla cappella di San Giovanni ai Domenicani di Bolzano, ed infine i Santi Erasmo e Nicolò, protettori contro l’impetuosità delle acque. Sigismondo, figlio di Carlo IV, fu incoronato re d’Ungheria in quell’anno, ed è possibile che questo sia il motivo per cui accanto al Santo, e solo in questo caso, è riportata la scritta con il suo nome. La bottega che eseguì questi affreschi è strettamente legata al Maestro delle Storie di Sant’Urbano al Duomo di Bolzano, che all’ambiente bolognese della sua formazione sovrappose l’esperienza artistica di quello padovano-bolzanino.
[testo tratto da “I luoghi dell’arte” – Volume Primo a cura di Gioia Conta]