Il semplice castello, costituito da torre, palazzo adiacente e cappella era la residenza dei signori di Katzenstein, a partire dal 1258 alla corte di castel S. Zeno. L’edificio ha subito la trasformazione ottocentesca in stile neogotico diffusa nei castelli dei dintorni di Merano. La torre è stata sopraelevata, con l’aggiunta di improbabili merli, il palazzo, originariamente con tetto ad unico spiovente, non ha più la facciata rinascimentale che presenta nel disegno ottocentesco di Johanna von Isser. Katzenstein sorge sopra Sinigo, su una delle prime pendici sulla sinistra della valle. Le urla della ballerina (avventure amorose nel castello)

La residenza, che sorge a Maia Alta accanto a castel Rosenstein, è assai semplice, a tre piani, articolata sul lato occidentale da due Erker quadrangolari. Gli Erker sono stati successivamente uniti da balconi in legno e ampie finestre sono state ricavate nella facciata. La denominazione di “Erlacher Hof” risale alla fine del 1500, ma poco si sa sino alla seconda metà del 1600, quando è in possesso della famiglia von Neuhaus. Acquistata nel 1706 da Tommaso von Reichenbach- Knillenberg, è rimasta in possesso dei von Knillenberg sino al 1823, quando è giunta per eredità ai von Solder.

Anche Castel Labers (sito solo in tedesco), che sorge sul fianco sinistro della val di Nova, ha subito il restauro romantico ottocentesco che ha interessato numerosi castelli dei dintorni di Merano, preceduto del resto già da numerose trasformazioni a partire dall’epoca rinascimentale. Anche i torrioni angolari fanno parte delle libere e fantasiose integrazioni del XIX secolo.

Un Ulrico di Labers è testimoniato alla fine del X secolo, è possibile quindi che esistesse sin da allora, precedentemente all’ascesa dei Tirolo, una costruzione con funzione militare, collegata al vescovo di Trento. Un secolo dopo, ormai dipendente dai Tirolo, dovette costituire, con le opportune trasformazioni, la residenza di uno dei nobili gravitanti attorno alla sua corte. Alcune strutture antiche sono state riconosciute nelle cantine del castello.

Fa parte della cronaca di questo secolo l’utilizzazione della residenza da parte dei tedeschi durante l’ultima guerra mondiale quale sede di una zecca per la produzione di dollari e di sterline falsi.

Anche di questo castello, più noto con il nome di Trautmannsdorf dai signori che l’ebbero dal 1551 al 1679, abbiamo la preziosa testimonianza del Codice Brandis, dove entro una cinta merlata un’alta torre è affiancata dal palazzo; una seconda torre sorge a difesa dell’ingresso. Secondo la leggenda il castello fu costruito nel XIV secolo sul luogo dell’antico oratorio di S. Valentino, morto nel 470.

Le costruzioni originarie non sono più riconoscibili dopo le radicali trasformazioni operate dopo l’acquisto da parte del conte Joseph Trautmannsdorf nel 1847, in seguito alle quali l’attuale poderoso palazzo, merlato alla guelfa e articolato in numerosi edifici minori, ebbe un aspetto neogotico.

Il castello, costruito da Georg von Anserei nel 1300, era già decaduto nel corso del 1600; la torre e la cappella crollarono nel 1700. In quest’ultima, ricostruita anch’essa in stile neogotico, sono stati riutilizzati numerosi elementi architettonici e decorativi dell’antica chiesa di S. Caterina a Merano. I rilievi inseriti nel portale della cappella sono della seconda metà del 1500. Il maniero a partire dall’anno 2003 ospita il Touriseum, ossia il Museo del turismo circondato dall’altrettanto noto Giardino botanico.

Le prime notizie che documentano l’esistenza di Castel Pienzenau risalgono al 1394. Furono i benedettini del convento bavarese di Ettal ad utilizzare Castel Pienzenau fino al 18° secolo come luogo di meditazione e di riposo. Furono sempre loro ad arricchire il panoramico parco di una straordinaria serie di piante, in parte anche rare. Il maniero, proprietà dei monaci benedettini di Ettal già nel XV secolo, è oggi residenza privata della famiglia Schölzhorn che l’ha completamente riadattato e rinnovato per organizzare ogni genere di manifestazione.

Castel Rametz, già in origine residenza nobiliare più che costruzione fortificata, risale al Xlll secolo e consisteva, come appare nel Codice Brandis, in una torre affiancata da un edificio residenziale e da una bassa cinta con merli .

Passato in mano a più proprietari, nel 1840 ha subito una radicale trasformazione in stile neogotico, con torri e torrette, pinnacoli e feritoie, destino abbastanza diffuso tra i castelli della conca meranese caduti in rovina e ristrutturati nel corso dell’Ottocento, e dell’antico impianto nulla è più riconoscibile.

Le prime notizie risalgono al 1380, quando la residenza risulta di proprietà di Christian Valentin Raubach, da cui presumibilmente venne il nome Reichenbach, del quale si fregiarono i proprietari che seguirono. Nel 1544 fu acquistata dai Vanga.

La costruzione cinquecentesca, articolatasi su una torre più antica, forse del 1300, era assai semplice, a tre piani, chiusa ad occidente da un muro merlato con portale, sopra il quale è ancora lo stemma dei Vanga. La residenza, ampliata nel corso del 1600 dai Knillenberg, fu arricchita degli Erker, della loggia a sud e della torre rotonda a nord. Nel 1854 era di proprietà del famoso dottor Franz Tappainer, uno dei protagonisti dell’affermazione di Merano quale luogo di cura a livello internazionale. Agli inizi del 1900 il figlio promosse sostanziali e discutibili lavori di rifacimento in stile romanico-rinascimentale, che hanno completamente privato la residenza delle sue caratteristiche originarie.

I Rottensteiner sono testimoniati quali proprietari del castello, al quale diedero il nome, dalla seconda metà del 1200 alla fine del 1400. Il nucleo più antico è costituito dalla torre dell’angolo sud-ovest, degli inizi del 1300. Nel Codice Brandis accanto alla torre a tre piani è l’edificio residenziale a due piani. Fu dei Fröhlich e dei Wittenbach, alla fine del 1600, quando era in possesso del barone Ippolito Priami, che ampliò la costruzione verso nord, esso fu denominato “Castello di Priami “.

Dai primi del 1800 il castello passò attraverso numerosi proprietari, per lo più nobili d’oltralpe che lo scelsero come loro residenza per i lunghi periodi di villeggiatura. Vi abitò anche l’architetto imperiale von Klenze, che aveva l’incarico di cercare una dimora adatta per il re Ludovico di Baviera.

Nel 1863 fu acquistato dall’arciduca Carlo Ludovico, che costruì la seconda torre all’angolo nord della facciata e fece alzare di un piano il tratto nord-est e quello orientale. I numerosi lavori di ampliamento e di ristrutturazione condotti soprattutto nel secolo scorso hanno reso irriconoscibile, a parte la torre, del resto anch’essa assai manomessa la struttura architettonica originaria.

La storia della residenza Rosenstein è quella di numerose altre di Maia, sorte sull’area di preesistenti complessi agricoli i quali, opportunamente ristrutturati, furono destinati a dimore nobiliari.L’antico edificio sito a Maia Alta, denominato “Nocken” fu ricostruito dai signori von Rolandin nel 1602. Passò quindi ai Rosenberg, già proprietari della residenza Winkl. Dopo successivi proprietari fu acquistata nel 1864 insieme alla residenza Rottenstein dalI’arciduca Carlo Ludovico. Il complesso si articola in due costruzioni distinte a nord e ad est, con cortile interno. Delle due torri occidentali, che un tempo avevano un piano in meno, quella angolare serviva da collegamento con la sua scala ai piano Al tempo dell’arciduca risalgono le modifiche sostanziali, la sopraelevazione di un piano e la costruzione di numerose torrette ed Erker, secondo la moda dell’epoca.

Alto e isolato su un rilievo roccioso che si stacca dal monte sulla sinistra della val d’Adige a sud di Merano sorge Fragsburg, in un sito naturalmente difeso dalla natura e frequentato sin dall’epoca preistorica. Il supposto collegamento tra il prefisso tede- sco “frag” e il latino saxa fracta, con cui sono indicate in qualche caso le rovine di una fortificazione indicherebbero una frequentazione in età romana. Costruito da Otto von Auer nel 1357, appartenne a questa famiglia presumibilmente fino all’epoca in cui essa si trovò coinvolta nelle lotte della nobiltà locale contro le mire di Federico il Tascavuota.

Il castello originariamente consisteva in una costruzione assai semplice a nord, sulla quale in epoca posteriore sorse il palazzo, e nella torre isolata a sud, che doveva un tempo superare in Mitezza gli altri edifici. Il palazzo conserva cinque caditoie che sporgono sotto la linea di gronda, che trovano confronto con il non lontano Katzenzungen di Prissiano. Sul lato rivolto verso il cortile esso fu arricchito, all’epoca dei Niederthor di Bolzano, che ebbero in proprietà il castello dal 1479 al 1558, di una loggia in stile rinascimentale a due piani con tre arcate a terra e sei arcatelle al primo piano, entrambe a tutto sesto, volte a crociera e colonne in marmo. Sulla loggia e all’interno si affacciano nume rose porte con eleganti cornici in marmo e in pietra. La bella stufa di maiolica con la leggenda di Giasone e Medea, opera del 1547 di Bartholomaus Dill – Riemenschneider, è ora al Castello del Buonconsiglio. Nel lato settentrionale si apre la cappella a due piani consacrata nel 1376 e dedicata alla Santa Croce. Durante la moda romantica dell’Ottocento anche Fragsburg ha subito numerose e arbitrarie modifiche, sulle quali si è intervenuto durante i lavori di restauro del 1969, quando il castello è stato trasformato in un lussuoso albergo.

La denominazione di Winkl è attestata nel 1269, mentre la costruzione della bella residenza è databile alla metà del 1300.

Nel 1500 fu degli Heyerling, che si fecero da essa chiamare “von Winkl”; essi ampliarono la costruzione originaria verso ovest, articolandola con gli Erker sul lato nord, ancora esistenti.

Nel 1612 passò al nobiluomo Johann Eckhart von Rosenberg della corte di Massimiliano III che alla morte (1622) fu seppellito nella cappella fatta in precedenza costruire per se e per i suoi congiunti nella chiesa di S. Giorgio.

Egli diede al complesso il suo aspetto odierno, ricostruendo e ampliando l’edificio preesistente. A tale scopo chiamò Francesco Lucchese, da poco trasferitosi a Merano da Innsbruck, che introdusse nell’architettura del palazzo alcuni elementi manieristici, che segnano il passaggio dal Rinascimento al Barocco. Fu innalzata a sud la torretta delle scale a cinque piani che ancor oggi serve per mettere in comunicazione i piani e che con il suo tetto a cupola sormontata dalla lanterna è l’elemento più caratteristico del palazzo. Si aggiunse un piano alla casa padronale e furono costruiti intorno al pittoresco cortile alcuni edifici minori ad ovest, insieme al muro merlato e al portale. La proprietà, messa all’asta insieme all’arredamento, fu acquistata nel 1630 da Claudia de’ Medici, reggente del Tirolo.

La duchessa amò molto Castel Winkl, per il quale fece concedere particolari privilegi dal figlio Ferdinand Karl quando le successe nel 1646. Ella si adoperò ad ampliare e ad abbellire il complesso, costruendo il muro di cinta con la rondella d’angolo, e tra questa e la casa padronale, il nuovo edificio residenziale a due piani. Le finestre furono decorate con eleganti cornici dipinte e il suo stemma, ancora riconoscibile, fu affrescato al secondo piano.

Dopo qualche anno il castello fu venduto, e attraverso successivi proprietari andò agli inizi dell’ ottocento in proprietà dei Pitsch, che lo restaurarono dopo anni di progressivo abbandono, facendo costruire la cappella in stile neogotico nella torretta orientale (1852). Essi lo affidarono come fondazione Pitsch al parroco di Merano-Maia. Acquistato dai Gögele e quindi dai Cembran, fu da questi ultimi restaurato a partire dal 1935.

Andrea von Knillenberg, che aveva combattuto insieme al fratello da eroe nel 1493 nella guerra contro i Turchi, acquistò nel 1513 a Maia Alta la proprietà Zekolf, sede dei signori di Maia a partire dal XIII secolo. Egli la ristrutturò e la chiamò Residenza Knillenberg per concessione dell’imperatore Massimiliano I.

Sulla costruzione originaria del 1200 egli impostò ad occidente la torre, il palazzo residenziale a tre piani a nord, altri edifici sul lato sud. I Knillenberg rimasero proprietari del castello sino al 1614, quando Nicolò lo vendette ad Hans Eckhard von Rosenberg. Alcuni interventi di ristrutturazione portano il nome di Francesco Lucchese, autore degli ampliamenti del vicino Castel Winkl. Tra i numerosi proprietari che seguirono, il vescovo Giovanni von Flugi fece erigere le due torri quadrate ad occidente. In luogo del muro che congiungeva la torre al palazzo fu costruita una galleria. Il castello rientrò in possesso dei Knillenberg nella seconda metà del 1700 che lo tennero fino al 1812. Nel 1779 fu dato l’incarico al pittore Josef Wengenmayr di affrescare gli interni secondo il gusto dell’epoca. Nello stesso anno fu consacrata la cappella nella torre sinistra decorata dallo stesso artista. Nella cappella si trovava un altare, attribuito da Nicolò Rasmo a Marx Reichlich, ora al Museo di Lubiana, nel cui scrigno sono rappresentate Maria, Anna e il Bambino Gesù tra Santi. L’altare sarebbe stato commissionato da Andrea von Knillenberg nel 1513 per decorare la cappella del palazzo Zekolf al famoso Marx Reichlich, attivo in quegli anni a Bressanone, da dove proveniva la prima moglie del nobiluomo. Marx Reichlich, formatosi alla bottega di Federico Pacher e collaboratore di Michele Pacher, influenzato dalle forme e dallo spirito del Rinascimento italiano, fu artista di rilievo del primo Rinascimento tedesco. Negli anni 1960 il barone Kripp ha curato il restauro del complesso, riportando alla luce al secondo piano begli affreschi rococò.

Tra la fine del 1400 e la metà del 1500 vi risiedevano i Talhacker, giudici a Merano, ai quali risale la costruzione della torre quadrangolare e del palazzo originariamente a due piani. Nel 1621 vi entrò in possesso Jakob von Mohr, il quale dal granduca Leopoldo ebbe per Rundegg i privilegi di una residenza noibiliare. Egli costruì tutto il lato rivolto a sud e diede al complesso l’aspetto odierno. Nel 1715 fu acquistato da Bernardo Paravici in, originario della Valtellina, morto nel 1770 a 105 anni, la cui lastra funeraria è ancor oggi nella parrocchiale di Merano. Egli ampliò e abbellì la residenza, allungando il tratto occidentale e innalzando sino a quattro piani la torre. Il lato sud fu arricchito verso il cortile di un elegante loggiato. Agli eredi Paravicini e ai loro congiunti il castello rimase fino al 1935, quindi passò in proprietà dei fratelli Anton e Josef Spitaler. Recentemente restaurato, è stato trasformato in un lussuoso albergo.

Il castello di S. Zeno sorge su un pianoro a picco su tre lati sulla valle Passiria, dove corre la strada per il passo del Giovo. Già sede di un castelliere preistorico, il sito ebbe continuità di insediamento anche in età romana. Divenne un luogo di culto assai venerato, quando nel V secolo il vescovo Valentino vi eresse una cappella dedicata a S. Zeno, dove furono sepolti S. Valentino e in seguito nell’VIII secolo S. Corbiniano.

Arbeo vescovo di Freising, autore della “Vita Sancti Corbiniani” “VIII sec.” narra di essere caduto in giovane età nel burrone del Passirio, mentre assisteva ad una funzione nella chiesa di S. Valentino.

Qui è con tutta probabilità da situare l’altomedievale Castra Maiense, mentre la statio Maiensis attestata in un’iscrizione di Parcines è da situare nei pressi dell’odierna Tel. Acquistato e riedificato nel 1825 da Mainardo II° Conte di Tirolo che lo preferì a castel Tirolo per la maggior vicinanza a Merano, ebbe il periodo di maggior splendore tra la fine del 1200 e la prima metà del 1300, a cui seguì una progresiva decadenza.

Nel 1347 venne assediato e distrutto da re Carlo IV dopo l’infruttuosa spedizione contro Margherita di Tirolo. Accanto all’entrata sorge il mastio a pianta quadrata, di m 9,40 di lato, alto 12 metri, diviso in 2 piani. Le bifore romaniche che si aprono sulle pareti nord e sud furono aggiunte certamente in epoca posteriore, provenienti dalle rovine del palazzo. Quest’ultimo, del quale rimangono pochi resti di muri di fondazione, sorge sul lato sud, a fianco della cappella, unito ad essa con una torre, utilizzata in seguito come sacrestia, e trasformata in campanile. Al centro del cortile si trova la vasta cisterna, di 6 metri di diametro, tutta scalpellata nella roccia.

Dal 1799 è proprietà della famiglia von Braitenberg.

Intorno al 1930 si è proceduto al restauro della cappella; nel 1960 è stato restaurato il mastio.

Il maniero di Reinhold Messner è ora visitabile anche nel settore settentrionale, dopo che l’ala è stata sistemata e coperta con un tetto di vetro.All’interno è cresciuta la collezione delle maschere e due nuovi singhi nepalesi (leoni delle nevi) fanno buona guardia alla salita che porta all’ala diroccata. Castel Juval rappresenta un importante arricchimento per il turismo culturale della Venosta.

Questo castello viene citato per la prima volta nel 1238 ma è certamente più antico. Venne costruito dai signori di Montalban, un casato nobile molto potente avversato dai conti di Tirolo i quali ne divennero proprietari.

Dal 1300 esso fu anche sede di tribunale. Al termine di una lunga serie di passaggi di proprietà, nel 1531 passò definitivamente alla famiglia Hendl che provvide a modificarlo e ad ingrandirlo, donandogli l’aspetto odierno.

Nel 1813 e nel 1824 il castello venne semidistrutto da due incendi disastrosi. In seguito i conti Hendl ne ricostruirono solo una piccola parte adibita a scopi abitativi mentre il resto dell’imponenete edificio venne lasciato andare in rovina, Nel 1956, al termine di una intricata vicenda giudiziaria protrattasi per decenni tra il conte Sigmund von Hendl e la Repubblica Italiana, il complesso di edifici divenne proprietà dello Stato Italiano per la somma di 31.068 lire!Particolari della cappella In quel periodo il castello era ormai ridotto ad una vera rovina. Vennero subito iniziati dei lavori di restauro che avevano come scopo principale il consolidamento dei muri esterni che minacciavano di crollare sulla strada statale sottostante, ma solo nel 1987, sotto la cura competente della Sovrintendenza di Verona, vennero intrapresi consistenti lavori di restauro , terminati nel 1995.

Nel 1999 il Comune di Castelbello – Ciardes ha ricevuto in concessione dallo Stato Italiano l’utilizzo degli storici edifici. Il comune ha quindi dato in gestione questo splendido complesso al Curatorio del castello di Castelbello. Scopo di questa associazione è la conduzione, la conservazione e l’utilizzo del castello di Castelbello per manifestazioni culturali (mostre, concerti, ecc.). Il Curatorio assicura e organizza la visita al pubblico di questo insigne monumento.

Per la sua posizione lungo l’antica via Claudia Augusta, il castello, alto sulla riva destra dell’Adige, ebbe la funzione primaria di fortificazione sorta a controllo stradale. Costruito nella prima metà del XIII secolo, il sito ha infatti una storia ben più antica, che risale alla presenza su questa propaggine rocciosa di alto valore strategico di un castelliere preistorico. Esso ha inoltre la rara caratteristica di essere appartenuto dal momento della sua costruzione sempre alla stessa famiglia per oltre sette secoli. Secondo la tradizione i Signori von Brandis, il cui nome viene fatto risalire al nome personale longobardo Prando, latinizzato in Prandus, si insediarono nel castello che da loro acquisì il nome per concessione dei conti von Flavon, dai quali poi lo acquistarono. Il castello è testimoniato per la prima volta nel 1236 (castro Brandicio). In un documento del 1458 risulta che in tale data esso fu suddiviso tra i due fratelli Wolfgang e Randolt, mentre al terzo, Burkhard, andò una casa sottostante. Una cinta ad andamento quasi circolare, raddoppiata in alcuni tratti nel corso del XVI secolo, delimita l’area dominata dall’alto mastio, che sorge sul lato sud ovest accanto all’ingresso, mentre sul lato est e nord sorgono, addossati alle mura, separati da un ampio cortile, i due palazzi residenziali. Il mastio, a pianta quadrata, di 11 metri di lato dello spessore di 2,70 m., diviso in sei piani, ha l’altezza ragguardevole dì 27 metri. Un’elegante trifora è ricavata sul lato est, mentre la presenza sulla facciata meridionale, franata nell”800, di una vasta apertura a tutto sesto è documentata da un disegno settecentesco. Il palazzo che sorge sul lato est, e che consisteva originariamente solo nel piano terra e in quello superiore, fu sopraelevato nel corso del XVI-XVII secolo, quando fu anche collegato con una stretta costruzione al mastio. Contemporaneamente fu ricostruito e ampliato il secondo palazzo denominato nei documenti “Neugehäuß ” sul tratto nord.

Il crollo di una parte del mastio nel 1807 determinò anche la parziale rovina dell’edificio residenziale e l’abbandono definitivo del castello.

Castel Leonburg si erge sopra Lana a 595 metri di altitudine, su un dosso roccioso allungato del versante boscoso. Poco più in alto passa la strada del Gampenpass (Passo delle Palade), e quindi la rocca balza agli occhi e si distingue, inoltre, per la presenza di due poderose torri a tre piani. Il complesso apparteneva ai tre fratelli Konrad, Heinrich e Bertold von Leonburg, della stessa stirpe dei Brandis; nella divisione dell’eredità, ad uno toccarono proprietà separate ed agli altri due la metà del maniero; perciò ognuno si costruì un proprio mastio. I due torrioni risalgono alla stessa epoca, all’inizio del XIII secolo (o sono ancora anteriori); quello leggermente più alto raggiunge i 15 metri. Castel Leonburg è documentato a partire dal 1236. Nel 1275, quando il conte Mainardo II° prese d’assedio il castello per sottomettere la nobile famiglia, la sua distruzione venne evitata per intervento del conte Ildebrando Brandis che preferì abbandonarlo piuttosto che organizzare una strenua quanto inutile difesa. Dopo un devastante incendio, il castello venne completamente ricostruito nel XV° secolo, tornato in possesso della famiglia Brandis.

A circa 700 metri d’altura, nel paese di Foiana, un paese poco distante da Lana in direzione del Passo Palade, ci sono le rovine di Castel Maggio o Mayenburg. Sull’altura i conti Appiano avevano eretto la fortezza come struttura difensiva, passata sotto il potere dei conti di Tirolo nel 1253, che successivamente la diedero in feudo alla famiglia Mayenburg, da cui derivò il nome. Rimasto in mano ai feudatari sino al 1358 quando la famiglia si estinse, il castello subì nel 1525 il saccheggio durante la rivolta dei contadini e nel 1564 un devastante incendio che ne distrusse gran parte degli edifici. Passò attraverso diverse proprietà fino al 1600 quando entrò a far parte prima delle proprietà della nobile Famiglia Brandis e poi nel 1814 venduto a dei contadini della zona, che lo lasciarono decadere. Oggi si presenta in rovina, con edifici senza tetto all’interno della cinta muraria, dove sorgono anche il palazzo residenziale e una cappella con tracce di affreschi del 1400. Il mastio, forse l’unico ambiente ben conservato, è forse l’edificio di quel genere più imponente della regione, in quanto lo spessore della muratura raggiunge i 3 metri. Il castello non è visitabile.

Ben visibile sulla strada che porta in Val d’Ultimo, sopra l’abitato di Lana, si erge Castel Montebruno eretto presumibilmente nel 1231 da Ulrich von Braunsberg. Nel 1361 la residenza passò ai conti di Tirolo e successivamente ai conti Trapp, che lo gestirono dal 1492 al 1969 quando per questioni ereditarie passò al Christopher Hamilton Strachwitz. Nel 1510 parte della struttura crollò nella sottostante gola, ma per fortuna la parte signorile e l’importante cappella con coro poligonale e i suoi affreschi del XVII secolo si salvarono. Il castello non è visitabile.

La leggenda di Jutta di Montebruno

Durante le crociate il cavaliere proprietario del castello di Montebruno volle unirsi ai castellani dei dintorni per partecipare alla spedizione ma non lasciava volentieri la sua consorte, la giovane e bellissima Jutta. Così la mise sotto la protezione del suo capitano, del suo amministratore, di cui si fidava ciecamente. In realtà quello era un tipo losco, che si curò poco del giuramento fatto al suo signore. Fece di tutto per entrare nelle grazie della bella signora del castello, dandole ad intendere che tanto suo marito non sarebbe tornato mai più dalla crociata. Ma Jutta respinse tutte le vergognose proposte del capitano e aspettò con pazienza il ritorno del consorte. Il marito ebbe fortuna e molti mesi dopo tornò al suo castello. A quel punto il capitano, per tirarsi fuori dalla pericolosa situazione in cui veniva a trovarsi, calunniò la signora, l’accusò di aver condotto una vita scostumata, di essersi curata poco della fedeltà coniugale durante l’assenza del marito. L’uomo, inferocito dalla gelosia, stava per condannare la moglie al carcere a vita. Ma la nobile Jutta si ribellò a quel destino ingiusto; davanti agli occhi del sospettoso marito e del capitano preferì gettarsi a capofitto nel vuoto, nella profonda gola sottostante la rocca. Allora, accadde un miracolo! Il cielo premiò l’innocenza e la sincerità di Jutta, che toccò incolume la terra e risalì al castello a testa alta. Il perfido capitano capì che non ci sarebbe stato nulla da fare e si gettò a sua volta nel burrone, sfracellandosi sul fondo.

Il castello, che sorge sulla sommità di un rilievo roccioso all’imbocco della val Martello, fu eretto da Alberto di Tirolo prima del 1228, a quando risale il documento di appartenenza al feudo vescovile di Coira. Esso divenne con i Tirolo uno dei castelli più muniti della val Venosta, ma doveva presentare anche aspetti piacevoli per la residenza;, prediletto sia dalla consorte di Mainardo II, sia da Beatrice di Savoia, moglie del figlio Enrico re di Boemia. Ai Tirolo seguirono nel possesso, fino al 1614, i von Montani, una famiglia di ministeriali che dal castello aveva tratto il predicato, autori dei grandi lavori di trasformazione del complesso medievale in una prestigiosa dimora rinascimentale. Alla loro estinzione, il castello giunse nel 1647 al conte Maximilian von Mohr. Fu presumibilmente l’illuminato e colto nuovo proprietario ad acquisire i preziosi manoscritti della biblioteca di castel Sant’Anna, tra cui la rarissima copia su pergamena del 1323 del poema medievale dei Nibelunghi, oggi a Berlino. Essa fu rinvenuta e acquistata per pochi denari insieme ad un manoscritto dei Vangeli del 1300, dallo storico Beda Weber nel secolo scorso, dai contadini che erano entrati in possesso del castello al momento dell’estinzione dei Mohr, nel 1833. Con essi il castello fu spogliato degli arredi ed in parte trasformato in cava di pietre. L’acquisto, da parte dello stato italiano nel 1935, ha fermato il progressivo e rapido degrado, e nel 1960 sono iniziati i lavori di consolidamento e restauro.

L’impianto originario consisteva nel mastio, posto accanto all’accesso da sud est, e in una torre sul lato opposto nord ovest del breve pianoro, trasformata poi in palazzo residenziale, accanto alla quale sorse sull’angolo nord est un secondo palazzo. Circondati dalla cinta muraria, gli edifici hanno perso nel corso del XVI secolo le caratteristiche più legate all’efficienza bellica per trasformarsi, in una signorile e raffinata residenza. Fu così mozzato il mastio, che acquisì i merli guelfi attuali, e lo stesso presumibilmente successe alla torre di nord ovest, mentre lavori di abbellimento interessarono soprattutto il palazzo orientale: un frontone merlato e le arcate ad ampia ogiva, su colonne in marmo bianco sul lato del cortile interno; il medaglione in marmo con gli stemmi di Viktor von Montani e della moglie Margaret von Schrofenstein (1527), ora a castel Tirolo, è qui sostituito da una copia. A causa dei crolli, ben poco è rimasto degli affreschi nel salone al secondo piano.

Il castello, completamente in rovina, è da considerare più antico del vicino Castel Montani di Sopra, che con la sua costruzione venne a privare di ogni importanza strategica il piccolo nucleo fortificato. Per la sua posizione, accessibile con poca difficoltà, esso è da considerare un punto di avvistamento e controllo dell’accesso alla val Martello. Il castello consisteva nel mastio quadrato, suddiviso in tre piani, di un piccolo edificio residenziale e di una cinta.